Il supporto di uno psicologo nei casi di demenza può essere visto come un lavoro su due fronti. Da una parte il lavoro diretto sul paziente, con un trattamento riabilitativo di tipo neuropsicologico e psicologico. Dall’altro sul familiare che si prende cura del paziente, il caregiver, perché secondo attore della nuova situazione di vita.
Il paziente che riceve diagnosi di demenza si trova di fronte a numerosi dubbi e domande sul suo futuro e su che cosa accadrà. Riuscire a prevederlo nel dettaglio è tuttavia impossibile poiché ognuno reagisce alla patologia in modo del tutto personale, sia dal punto di vista psicologico sia dal punto di vista strettamente cognitivo. Esiste infatti un aspetto chiamato riserva cognitiva che varia da soggetto a soggetto che costituisce il “bagaglio” cognitivo che ognuno ha e a partire dal quale il deterioramento avrà inizio. È cioè logico pensare che chi avrà “allenato” maggiormente il proprio cervello durante l’arco della sua vita si troverà a resistere per più tempo ai colpi della patologia. Al contrario un cervello scarsamente allenato cederà in modo più evidente e veloce. Intervenire sul potenziare il nostro “muscolo cerebrale” il prima possibile significa iniziare un percorso di riabilitazione cognitiva con degli esercizi di stimolazione ben mirati. Come si è detto infatti ognuno di noi può avere delle aree più carenti o più sviluppate anche in base al tipo di demenza diagnosticata. Un buon riabilitatore individua le aree cognitive da potenziare e soprattutto crea una “scheda” di allenamento che sia di interesse per il paziente. È cioè fondamentale non solo che l’esercizio di stimolazione sia utile, ad esempio attività che potenzino la memoria, ma anche che siano di interesse per il nostro paziente. Se ad esempio il nostro paziente è sempre stato un appassionato di pesca e vogliamo stimolare la produzione verbale sarà ben più propenso a parlarci del suo hobby o a leggere brevi articoli su questo tema. Mai, infatti, si dovrà cadere nella riabilitazione dell’adulto nell’infantilizzazione, usando cioè materiale preparato per altri settori, ad esempio la scuola. Sebbene alcune attività possano sembrare simili non è sempre detto che grafiche e vocaboli usati possano essere adatti ad un adulto che potrebbe vivere con frustrazione gli esercizi proposti.
Dal punto di vista del caregiver invece il supporto psicologico ha tutt’altro obiettivo. Ci si pone come vero e proprio sostegno nell’affrontare questo momento complesso, nel fornire indicazioni e suggerimenti chiave per affrontare i problemi della quotidianità e i dubbi sul futuro della vita familiare. Lo stress associato all'accudimento di un familiare affetto da demenza viene definito caregiver burden e chi ne soffre presenta sintomi quali la perdita di sonno, calo delle difese immunitarie, repentini cambiamenti d'umore, depressione e molti altri. Iniziare un percorso con un professionista può aiutare il caregiver ad accettare senza vergogna la diagnosi per il proprio caro e soprattutto imparare ad attuare strategie per migliorare la propria qualità di vita. Avere consapevolezza della patologia e del perchè avvengono determinati comportamenti è di aiuto per affrontarli in modo ottimale. Migliorare le strategie comunicative con il proprio caro può avere cioè effetti sulla qualità della vita sia del caregiver che del paziente.
Vedere questi due mondi, quello del paziente e quello del caregiver come facce della stessa medaglia, significa riuscire a fornire un supporto che sia integrato e proficuo.
Lo psicologo oggi deve cioè saper comprendere che non è possibile slegare paziente e situazione di familiare ma adottare un approccio che veda coinvolti entrambi, caregiver e paziente con demenza e come protagonisti.
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